Profile PictureStefano Monteghirfo

Un altro mondo, un altro tempo. Audio Libro.

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Libro. Un carcere fatiscente in un futuro remoto, dopo i grandi sconvolgimenti globali che hanno decimato l'umanità e un trasferimento tanto inutile quanto inatteso per Geremia. Sullo sfondo gli esperimenti del vecchio in quell'ospedale abbandonato. Una storia fantastica a cavallo tra vari mondi, ai confini del tempo e della realtà.

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Era già quasi sera, la luce del tramonto entrava flebile attraverso le grate, Geremia fissava l’orizzonte oltre le montagne, quanto meno quel poco che se ne poteva scorgere attraverso la stretta finestra della sua cella. Si mise seduto sulla branda, le minuscole gocce d’acqua che scendevano dal rubinetto del lavello scandivano i tempi del suo pensiero come un metronomo. Non era più riuscito a togliersi di mente le parole del vecchio della cella accanto; il matto lo chiamavano e, probabilmente, lo era per davvero, ma quelle frasi lo avevano profondamente turbato. “Qualcosa doveva accadere, come era già accaduto in passato, molti anni prima”… “tutto doveva tornare”… “tutto si ripresenta”… ma cosa, di cosa aveva parlato il vecchio? A che cosa si riferiva e cosa c’entrava tutto questo col suo trasferimento. Era stato vago, confuso, a tratti irritante con la sua voce forte e penetrante, nel suo dire non dire e, forse, il matto era meno matto di quanto sembrasse, o forse no. E il modo stesso in cui gli aveva parlato, aveva toccato i tasti giusti al momento giusto quasi volesse stuzzicare a sufficienza la sua immaginazione senza tuttavia spingersi a dire molto di più dello stretto necessario. Lo aveva incuriosito, stuzzicato al punto giusto. Forse si trattava solo di suggestione, aggravata dal pensiero del trasferimento che avrebbe dovuto avvenire il giorno seguente o veramente il vecchio sapeva molto di più di quanto avesse mai detto? Non era il primo trasferimento in questi lunghi anni di reclusione ma questa volta gli pareva molto differente. Erano anni che quella era la sua cella e gli sembrava di non conoscere altro oramai, quelle mura anguste e fatiscenti erano tutto il suo mondo, tutto quello che gli rimaneva del mondo. Perchè trasferirlo proprio ora, a poche settimane dalla fine della pena? Perché poi farlo di notte? Sarebbe stato anche più pericoloso e Geremia non amava volare, aveva da sempre una sorta di timore innato del volo. “L’uomo non è un uccello, non è fatto per volare” si ripeteva continuamente da alcuni giorni. Ancora uno sguardo oltre la finestra, era già buio. Qualche minuto e anche le luci della cella si sarebbero spente per la notte ma i pensieri non lo volevano lasciare. Le parole del vecchio continuavano a rimbalzargli dentro come si fossero insinuate nel profondo della sua mente. Nessuno sapeva chi fosse veramente, nè da dove venisse. Quando Geremia vi venne trasferito il vecchio era li già da anni. Neppure sapevano perché vi fosse recluso, probabilmente neppure le guardie stesse lo sapevano oramai. Di sicuro era un tipo singolare, differente dagli altri “inquilini” del carcere. Un tipo burbero, magro, con lunghi capelli bianchi. Tutti lo hanno sempre chiamato il vecchio, o il matto, anche se nessuno conosceva realmente la sua età. Forse non era cosi vecchio ma era trasandato, con la schiena curva, alcune rughe pronunciate sul volto, due grandi occhi spalancati come a cercare chissà che cosa, come gli occhi di chi aveva visto chissà chè. Parlava a tratti confusi di un mondo lontano, di cui molti, compreso Geremia ricordavano poco o nulla. Proprio questi suoi dircorsi ricorrenti gli avevano fatto guadagnare l’appellattivo de “il matto” e anche le sue movenze, gli atteggiamenti, ma soprattutto lo sguardo lo facevano apparire proprio così. Solo una volta raccontò qualcosa di più su di se, di avere lavorato in alcuni laboratori di ricerca, di alcuni studi fatti in passato e di “colui che a detta sua, sul clima, fece quel gran inganno”, cosi lo descrisse ma non disse molto di più. Con la poca luce che ancora filtrava attraverso le porte del corridoio Geremia fissava le pareti rovinate dal tempo. Perfino le scritte fatte sui muri dai detenuti erano consumate, come lavate via dagli anni. Spesso gli incubi del vecchio durante la notte si potevano sentire risuonare attraverso la finestra della cella come se provenissero da fuori. Il suono improvviso delle sue urla nel sonno rimbalzava sul muraglione esterno del carcere e rientrava con prepotenza, come uno schiaffo violento, all’interno della cella. Quegli incubi si erano parecchio accentuati negli ultimi mesi, alcune notti erano perfino dovute intervenire le guardie con dei sedativi. Il vecchio percepiva delle cose a volte nei sogni e con l’avvicinarsi del trasferimento di Geremia, nell’ultimo mese, questi si erano fatti più frequenti, proprio nello stesso periodo in cui anche Geremia aveva iniziato a fare quei suoi strani sogni. Forse erano collegati, era come se gli incubi del vecchio stimolassero per una sorta di risonanza i sogni di Geremia, o forse era solo una semplice casualità, a cui Geremia tentava di dare un senso logico, associandoli insieme. Sarebbe stato comunque difficile liberare la mente da tutti quei quesiti senza risposta, continuava a pensare e ripensare a quanto gli aveva detto quella mattina il vecchio senza riuscire a capirne il vero significato. Sapeva che doveva esserci di più, lo sentiva, ma allora perchè il vecchio si era limitato solo ad accennargli alcune cose, perchè non aveva voluto spiegargli di più? Forse davvero non ne avrebbe capito molto ma quelle frasi dette a metà, quelle spiegazioni date e non date non volevano proprio lasciarlo in pace. Ripose sul letto il libro che aveva preso in prestito dalla biblioteca del carcere alcuni giorni prima, una raccolta di storie di fantascienza a dire il vero un po’ datate ma di piacevole lettura. Avrebbe voluto leggerne ancora alcune pagine ma era già tutto buio, era tardi e tanto valeva provare a mettersi a dormire, provare almeno. La notte passò quasi insonne ed il mattino successivo Geremia fu svegliato da una gran confusione, un via vai per i corridoi come non si sentiva da molto tempo. Cosa succedeva fuori dalla cella, nella fogna? Così i detenuti erano soliti chiamare il carcere, “la fogna” appunto, ed in effetti era oramai fatiscente e l’odore che lo attraversava, pungente e a tratti fetido, ne giustificava pienamente il soprannome. Era in gran parte abbandonato e anche la parte che restava agibile non aveva certo le sembianze di un vero carcere, non fosse per le sbarre alle finestre e i chiavistelli alle porte. Presto si diffuse la notizia: il vecchio si era ucciso! Ucciso? Il vecchio? Era dunque vero? Veramente era morto il vecchio? O era forse stato ucciso? Sicuramente questa pareva l’ipotesi più realistica. Ma perché uccidere il vecchio, il matto? Perchè proprio ora dopo tutti questi anni? Era innocuo, a parte i suoi vaneggiamenti confusi, i suoi racconti sui tempi perduti, su quello che era stato prima che tutto cambiasse molti anni fa, tanti anni che oramai quasi nessuno ricordava chiaramente ciò che era veramente accaduto, come fossero solo vecchie leggende sopite dal trascorrere degli anni. Forse per i suoi avvertimenti incalzanti dei giorni precedenti, per via dei suoi incubi? Erano solo vaneggiamenti, fantasie di un vecchio, a chi avrebbero potuto dare fastidio? A chi avrebbero potuto nuocere? Geremia era incredulo e non riusciva più a togliersi di mente la voce del vecchio con i suoi ammonimenti. Qualcuno ipotizzò addirittura che non fosse realmente morto, che fosse andato, via, nessuno dei detenuti aveva infatti visto realmente il corpo. Ma andato dove? E come? Come avrebbe potuto uscire da li? Quanto accaduto lo aveva comunque turbato ancor più e la sera si avvicinava e con essa questo trasferimento, assurdo, inutile, inatteso. Il giorno passò insolitamente veloce, e presto venne sera e ancora una volta notte.

Size
541 MB
Duration
214 minutes
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Un altro mondo, un altro tempo. Audio Libro.

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